Contro il Firr agli agenti di commercio, sua divinità burocrazia

Non c’è solo Sua Divinità Mario Draghi. In Italia abbiamo anche Sua Divinità Burocrazia che incombe come il Fato. Sopra tutto e sopra tutti. In questo caso sugli agenti di commercio, almeno nella visione del mondo di Luigi Conte, presidente di Anasf. Che, in una lettera spedita agli agenti spiega, ovviamente in burocratese, che l’anticipo del Firr possono scordarselo. Non perché non ne abbiano diritto, ma perché lui ed i “ministri competenti” sono fedeli servitori di Sua Divinità Burocrazia.

Già definire “competenti” i ministri ora rispediti ad occuparsi di altro fa abbastanza ridere. Ma le motivazioni anche di più, non fosse che si tratta di fondi destinati ad affrontare una crisi provocata da altri “competenti” che non hanno bloccato il virus ma hanno messo in ginocchio l’economia.

Dunque, secondo Sua Divinità Burocrazia ed anche secondo Anasf, le valutazioni sulla tenuta dei conti di Enasarco in caso di erogazione di anticipi del Firr non andavano bene non perché sbagliate o scorrette, ma perché effettuate da un cda in scadenza ed in proroga. E chissenefrega se gli agenti di commercio avevano bisogno di questi soldi lo scorso anno, e ancora adesso. E chissenefrega se i conteggi erano corretti. Sua Divinità Burocrazia pretende di aspettare le nuove elezioni. E poi di aspettare i ricorsi, perché non basta che lo schieramento sostenuto da Anasf abbia ottenuto 3mila voti in meno. 

Bisogna ottenere la vittoria, certificata da altri “competenti”, pur avendo perso. Ed a quel punto si concederanno gli anticipi? Certo che no! Si rifaranno i conti, in maniera tale da dimostrare che il Firr non può essere distribuito. Perché nel burocratese del presidente Anasf si intuisce che i soldi non devono essere distribuiti. E guai ad Antonello Marzolla, neo presidente Enasarco, che insiste per concedere gli anticipi.

Fonte ElecToMag – Autore Enrico Toselli

Enasarco, decadenza della mandante dal recupero dei contributi previdenziali a carico dell’agente

 

Il caso trattato in questa sede, riguarda la mancata iscrizione ed il mancato versamento dei contributi previdenziali presso l’Enasarco: un agente effettua la relativa segnalazione al servizio ispettivo dell’Ente, il quale provvede a recuperare dalla mandante tutti i contributi omessi (sia per la quota parte di pertinenza della preponente sia per la quota parte a carico del ‘agente) con le relative sanzioni.

La mandante a questo punto agisce in giudizio nei confronti dell’agente per ottenere la restituzione della quota parte dei contributi a carico di quest’ultimo.
L’agente si difende eccependo che la preponente non può richiedere la restituzione di tali somme – neppure a titolo di indebito — essendo essa tenuta al pagamento per specifica previsione normativa e per non avere effettuato la relativa trattenuta contestualmente al pagamento delle provvigioni a cui si riferiscono i contributi ai sensi cell’art.7 della L.12/73, secondo il quale “Il diritto a trattenere la parte dei contributi a carico dell’agente e del rappresentante di commercio deve essere esercitato all’atto del pagamento delle somme a cui si riferiscono i contributi”.
La Corte Suprema di Cassazione sezione lavoro — con sentenza n. 4226 del 13.02.2019 (che ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 561 del 08.04.2014) ha accolto la tesi difensiva dell’agente USARCI avendo statuito che “all’accoglimento della richiesta della società mandante osta il disposto dell’art. 7 della legge n. 12 del 1973, essendo il preponente responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico dell’agente. Pertanto nessuna forma di indebito è configurabile nel caso di specie”.
La mandante perde il diritto di recuperare i contributi previdenziali a carico dell’agente se non effettua la relativa trattenuta contestualmente al pagamento delle somme a cui si riferiscono i contributi.
La Suprema Corte ha altresì statuito che la mandante perde il diritto di recuperare la parte del contributo previdenziale a carico dell’agente se non lo trattiene contestualmente al pagamento delle somme cui il contributo si riferisce. Quindi la quota contributiva a carico dell’agente di commercio deve necessariamente essere trattenuta dalla mandante al momento del pagamento delle somme cui i contributi si riferiscono, non potendo preponente effettuare tale trattenuta in un momento successivo.

 

Fonte USARCI Notizie – Avv. Massimo Battazza

Lockdown, clausole risolutive espresse e minimi di vendita

Gli effetti del lockdown sulle clausole risolutive espresse contenute nei contratti di agenzia con riferimento a volumi minimi di vendita

Sebbene il Covid-19 ormai sia, come molti dicono, “clinicamente spento” e l’Italia intera abbia ripreso a lavorare a pieno regime, la pandemia e il passato lockdown non hanno ancora esaurito i loro effetti su quei rapporti di agenzia vincolati da volumi minimi di vendita che l’agente deve conseguire a pena della risolubilità del contratto ex art. 1456 c.c.. 

Le restrizioni imposte dal Governo durante le c.d. Fasi 1 e 2 hanno impedito alla quasi totalità degli agenti di commercio di svolgere regolarmente la propria attività di promozione, con l’inevitabile calo dei loro volumi di vendita se paragonati con il medesimo periodo dell’anno 2019 e conseguente probabile mancato raggiungimento del target minimo di vendita eventualmente concordato con il preponente per l’anno 2020. 

Le clausole risolutive espresse inserite nei contratti di agenzia con riferimento all’eventualità in cui l’agente non rispetti un determinato volume minimo di vendita possono ritenersi legittime se e nella misura in cui nei fatti non privino l’agente dei diritti sanciti a suo favore dagli artt. 1750 e 1751 c.c., per l’ipotesi di cessazione in tronco del contratto di agenzia (1). 

È noto che, ai sensi degli artt. 1750 e 1751 c.c. e della direttiva comunitaria n. 86/653 CE, l’indennità di cessazione del rapporto in caso di risoluzione per iniziativa unilaterale del preponente non è dovuta solo qualora l’inadempimento sia imputabile all’agente e sia così grave da integrare anche una causa legittimante il recesso (2). 

Ne consegue che, affinché la cessazione unilaterale del rapporto avvenuta in conseguenza all’applicazione di una clausola risolutiva espressa possa privare l’agente del diritto all’indennità, è necessario il previo accertamento dell’esistenza di un inadempimento dell’agente che integri gli estremi di una giusta causa di recesso e della relativa imputabilità allo stesso, almeno a titolo di colpa (3). 

Il giudice eventualmente adito per accertare la legittima invocazione di una clausola risolutiva espressa, quindi, non può limitarsi a constatare che l’evento contemplato nella clausola si sia verificato, ma deve esaminare sia la gravità dell’inadempimento sotto il profilo oggettivo, a prescindere dalla valutazione di esso data dalle parti in sede di redazione della clausola, sia il comportamento dell’obbligato in relazione al principio della buona fede, prendendo in considerazione tutti i diversi profili emersi in sede di esecuzione del contratto che possono avere determinato un diverso tipo di equilibrio, anche quelli soggettivi quale la tolleranza del preponente, che ben può incidere sulla posizione soggettiva dell’agente, escludendone la colpa. 

Quanto alla gravità dell’inadempimento, la Cassazione ha insegnato che la legittimità della cessazione in tronco del rapporto non dipende dalla valutazione operata dalle parti in sede di stipulazione della clausola, ma deriva dalla sussistenza dei requisiti per la configurabilità della giusta causa di recesso contemplata dall’art. 2119 c.c., applicabile per analogia anche ai rapporti di agenzia, e quindi dal verificarsi di una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto (4). 

Tralasciando ulteriori considerazioni sulla gravità dell’inadempimento, che inevitabilmente dipendono dal caso concreto, soffermiamoci sul secondo requisito richiesto per la legittima operatività di una clausola risolutiva espressa, e cioè sull’imputabilità dell’inadempimento all’agente, almeno a titolo di colpa. 

In base ai principi del nostro ordinamento, l’elemento soggettivo della colpa (e quindi la conseguente imputabilità dell’inadempimento) viene meno qualora un evento imprevedibile e straordinario, che esula dalla sfera di controllo dell’agente, si inserisce tra la condotta dell’agente medesimo e un dato evento, in modo tale da escluderne il rapporto causale. In altre parole, per escludere l’imputabilità all’agente del suo inadempimento è necessario che sussista un fatto, straordinario, imprevedibile ed incontrollabile, che sia stato da solo sufficiente a causare l’evento, che, nel caso in analisi, è il mancato rispetto del target minimo di vendita. 

Ne consegue che, nel momento in cui si valuteranno le circostanze in cui è avvenuto l’inadempimento contemplato (i.e. il mancato raggiungimento del volume minimo di vendita) non si potrà prescindere dall’analisi degli effetti che la pandemia e il conseguente lockdown hanno avuto sulla possibilità per l’agente, la cui condotta deve essere sempre caratterizzata da buona fede, di adempiere la propria prestazione. 

Il mancato raggiungimento del volume minimo di vendite potrà non essere imputato all’agente se e nella misura in cui sia stato causato dall’emergenza sanitaria e/o dalle restrizioni imposte dal Governo, e non da negligenza dell’agente stesso. 

Quindi, la pandemia, le misure restrittive imposte dal Governo ed i relativi effetti protraentisi fino ad oggi, possono limitare l’operatività delle clausole risolutive espresse convenute con riferimento al mancato raggiungimento dei volumi minimi di vendita, se e nella misura in cui abbiano di fatto impedito a quest’ultimo di eseguire la prestazione cui era obbligato. 

Con riferimento alla sussistenza di tali condizioni, il Ministero dello Sviluppo Economico, per aiutare i soggetti in crisi a dimostrare la sussistenza di tale evento impeditivo, ha emanato la Circolare “MISE 0088612” del 25 marzo 2020, con cui ha dato istruzioni alle Camere di Commercio presenti sul territorio nazionale, di rilasciare, su richiesta dei soggetti interessati, una dichiarazione che attesti l’impossibilità di assolvere nei tempi agli obblighi contrattuali precedentemente assunti per motivi imprevedibili e indipendenti dalla volontà e capacità aziendale. 

In conclusione, applicando i summenzionati principi all’ipotesi in cui il preponente intenda avvalersi di un’eventuale clausola risolutiva espressa in seguito al mancato raggiungimento da parte dell’agente del volume minimo di vendita concordato tra le parti, quest’ultimo potrà evitare la risoluzione di diritto del contratto se e nella misura in cui (a parte le suddette osservazioni sulla gravità dell’inadempimento) la pandemia di Covid-19 e/o le misure restrittive imposte dal Governo, si siano inserite nel rapporto causale tra l’inadempimento e la condotta dell’agente, impedendo la promozione delle vendite da parte di quest’ultimo e, conseguentemente, escludendone l’elemento soggettivo della colpa

TABELLINI AVVOCATI ASSOCIATI – LUCA TABELLINI

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1 Cass. Civ. n. 2456/2011 – 2 Cass. Civ. n. 10934/2011 – 3 Cass. Civ. n. 19602/2013 – 4 Cass. Civ. n. 11971/2016 

Enasarco, agevolazioni per i giovani agenti

Dal 1° gennaio 2021 entreranno in vigore le modifiche al Regolamento delle Attività Istituzionali della Fondazione Enasarco tra le quali si prevede un’agevolazione contributiva per i giovani agenti

I ministeri vigilanti hanno finalmente approvato la proposta di modifica.

Al fine di agevolare l’ingresso e la permanenza nella professione, è previsto un regime contributivo agevolato per gli agenti che, nel triennio 2021-2023, vengano iscritti per la prima volta alla Fondazione o, essendo già stati iscritti, si vedano conferire almeno un nuovo incarico di agenzia purché, alla data di conferimento di tale nuovo incarico, i precedenti siano cessati da oltre tre anni.

2. L’agevolazione è concessa per tutti gli incarichi conferiti all’agente nei tre anni solari consecutivi a decorrere dalla data di prima iscrizione ovvero dalla data di conferimento del nuovo incarico per la ripresa dell’attività a condizione che l’agente abbia un’età minore o uguale a trent’anni alla data di conferimento di ciascun incarico.

3. Per ciascun rapporto, l’agevolazione è concessa per un massimo di tre anni solari consecutivi a decorrere dalla data di conferimento del nuovo incarico per la ripresa dell’attività.

4. Al verificarsi delle condizioni di cui ai commi precedenti:

a) l’aliquota contributiva di cui all’articolo 4, commi 1 e 2 è ridotta di 6 punti percentuali per l’anno solare in corso alla data di prima iscrizione o di ripresa dell’attività, di 8 punti percentuali per il secondo anno e di 10 punti percentuali per il terzo anno;

b) il minimale contributivo annuo di cui all’articolo 5, comma 4 è ridotto del 50% per ciascuno degli anni solari di cui al precedente comma 3.

5. L’agevolazione si applica solo agli agenti operanti in forma individuale.

(Enasarco – Regolamento Attività Istituzionali – Art. 5 bis)

Attività accessoria di riscossione e incasso

L’Ordinanza in commento, nel cassare la sentenza impugnata e rinviando la decisione ad altra sezione della medesima Corte di Appello il cui provvedimento fu oggetto di gravame, indica i principi consolidati cui la Corte dovrà attenersi nel giudicare nuovamente la questione, al fine di stabilire se ad un Agente di commercio spetti o meno lo “specifico compenso aggiuntivo per l’attività di incasso svolta”.

La questione non è pacifica, poiché in effetti la “riscossione delle somme” è prestazione accessoria a quella principale del contratto di agenzia, che può essere conferita sin dall’inizio del rapporto o successivamente e che può variare nel suo contenuto concreto, anche nel corso del rapporto stesso.

Tali principi, usando le chiare parole del Supremo Collegio sono:

  •  ove il contratto di agenzia preveda fin dall’inizio del rapporto il conferimento all’agente anche dell’incarico di riscossione, deve presumersi che il compenso per tale attività sia stato già compreso nella provvigione pattuita, che deve intendersi determinata con riferimento al complesso dei compiti affidati all’agente.

mentre
  • la medesima attività andrà separatamente compensata, nel caso in cui il relativo incarico sia stato conferito all’agente nel corso del rapporto e costituisca una prestazione accessoria ulteriore rispetto a quella originariamente prevista dal contratto (Cass. n. 1269/1988; conformi, fra altre: n. 3309/1991; n. 1818/1993; n. 7481/2000; n. 22892/2008);
  • tale orientamento ha trovato conferma in Cass. n. 21079/2013, per la quale, poiché lo svolgimento da parte dell’agente di attività di incasso, … dei corrispettivi dovuti dai clienti non costituisce un elemento essenziale o naturale del contratto di agenzia, ma soltanto un compito ulteriore che le parti possono convenire, quando la facoltà e l’obbligo di riscuotere i crediti del preponente siano intervenuti nel corso del rapporto di agenzia, deve ritenersi che l’attività di esazione costituisca prestazione accessoria e ulteriore rispetto all’originario contratto, e richieda una sua propria remunerazione … (conformi, fra altre: n. 8110/1995; n. 3902/2001);
  • prosegue l’Ordinanza sostenendo che, poiché gli AEC in vigore …. prevedono che debba essere “stabilito uno specifico compenso aggiuntivo”, in forma diversa dalla provvigione, “nel caso in cui sia affidato all’agente o rappresentante l’incarico continuativo di riscuotere per conto della casa mandante, con responsabilità dell’agente per errore contabile”, ponendo di conseguenza la responsabilità per errore contabile del collaboratore quale presupposto indispensabile perché possa sorgere a favore dello stesso il diritto all’indennità.
  • Per procedere ad un nuovo esame della fattispecie, la Corte di rinvio, si dovrà attenere al principio di diritto richiamato, e dovrà verificare l’eventuale attribuzione all’agente, nel corso del rapporto, di responsabilità per errore contabile dovuto a colpa nell’esecuzione della prestazione accessoria.
Sintetizzando, vista la parziale confusione degli ultimi due principi di diritto esposti, che valevano per il caso specifico sottoposto all’esame (attività prevista ab initio, ma senza responsabilità contabile), si può schematicamente sostenere che, qualora la attività di incasso somme venisse conferita nel corso del rapporto, essa andrà separatamente compensata con specifica remunerazione, in quanto icto oculi è accessoria, non prevista e ulteriore rispetto alla obbligazione principale, indipendentemente dalla responsabilità di cassa per colpa.

Qualora invece la specifica attività di riscossione somme fosse prevista ab origine (ma senza responsabilità di errore o ammanco), il compenso si ritiene compreso in quello stabilito per le provvigioni in quanto l’attività diviene oggetto specifico del contratto e si presume essere stata oggetto di trattative sul compenso complessivo.

In ogni caso in cui, ab inizio o successivamente (cioè come nell’ultimo caso che abbiamo esposto), emergesse che “sia affidato all’agente o rappresentante (A) l’incarico continuativo di riscuotere per conto della casa mandante, con (B) responsabilità dell’agente per errore contabile” sarà dovuto lo specifico compenso aggiuntivo in forma diversa da quella provvigionale ai sensi degli AEC previdenti ed in vigore (ad esempio A.E.C. commercio 2002 (art. 4), e 2009 (art. 5)).

 

Corte di Cassazione ordinanza n. 17572 depositata il 21 agosto 2020.

Ove il contratto di agenzia preveda fin dall’inizio il conferimento all’agente anche dell’incarico di riscossione, deve presumersi – attesa la natura corrispettiva del rapporto – che il compenso per tale attività sia stato già compreso nella provvigione pattuita, che deve intendersi determinata con riferimento al complesso dei compiti affidati all’agente.

L’Agente avrà diritto ad uno specifico compenso “aggiuntivo”, ove al medesimo Agente venga attribuita, anche nel corso del rapporto una specifica responsabilità per errore contabile dovuto a colpa nell’esecuzione della prestazione accessoria.

Fonte Studio Mosca & Costanzo 

Agente o Procacciatore, quali le differenze?

Esistono tante aziende, le più ” furbe “, quelle senza scrupoli, quelle che non vogliono sottostare a nessuna regola, le quali pur di non pagare il misero contributo ENASARCO e le indennità di fine rapporto, affidano l’incarico per la vendita dei loro prodotti, a persone con contratti da Procacciatori d’Affari.

Tutto ciò con lo scopo di avere sempre la piena disponibilità del mandato, infatti il ​​Procacciatore d’Affari, non gode degli stessi diritti dell’agente, quindi, nessun preavviso, nessuna indennità, nessuna complicazione.

Ma cosa differenzia il contratto da Procacciatore a quello dell’Agente?

La differenza sostanziale è stabilita dalla stabilità del rapporto. Il procacciatore è colui che lavora saltuariamente senza il vincolo della stabilità e mette in contatto occasionalmente l’acquirente con la mandante, non deve informare la mandante sulla situazione del mercato, non è tenuto agli incassi, non ha l’obbligo di esclusiva.

Purtroppo, pseudo aziende, approfittando di persone in stato di disagio economico, affidano loro l’incarico che in realtà nasconde un vero e proprio rapporto di agenzia se non addirittura da dipendenti, al fine unico di poterli eliminare a proprio piacimento e senza corrispondere alcuna indennità.

Si consiglia vivamente di conservare le copie di tutti gli ordini, degli incassi, le mail, gli estratti conto, etc. perché alla fine del rapporto il procacciatore possa far valere i propri diritti in primis facendo l’eventuale denuncia all’Enasarco.

Ricordiamo che la mandante è obbligata a trattenere all’agente i versamenti Enasarco esclusivamente al momento del pagamento delle provvigioni, e, se ciò non accadesse, l’Enasarco tramite i suoi ispettori effettuerà una multa per gli omessi versamenti, questi non potranno essere più addebitati all’agente e la mandante dovrà farsi caricoanche la quota carico dell’agente.

Ma non è esclusivamente il versamento contributivo che ci interessa, con i documenti conservati, si può valutare con sicurezza se ricorrono i presupposti del rapporto di agenzia, e quindi chiedere alla mandante il pagamento delle indennità agli agenti:

Indennità Suppletiva Di Clientela, FIRR, Indennità Meritocratica, Indennità cessazione rapporto, Indennità di maneggio denaro, Risarcimento Danni da omessi versamenti contributivi.

Fallimento o concordato preventivo della mandante

In questo momento storico gli agenti si trovano nella situazione di dover spesso gestire il proprio rapporto di agenzia nei casi di crisi economica delle società preponenti, normalmente nel silenzio degli organi amministrativi che nulla o poco lasciare trapelare circa le sorti della società, creando dei momenti di stasi del rapporto di collaborazione che possono durare anche diversi mesi, durante i quali l’agente non sa se considerarsi ancora vincolato alla propria preponente o libero di cercare nuovi incarichi.

La legge fallimentare non prevede per l’agenzia l’applicazione di norme speciali, conseguentemente trovano applicazione le norme generali previste per la generalità dei “rapporti pendenti”.

In caso di fallimento della società preponente trova applicazione la norma di cui all’art. 72 Legge Fallimentare secondo la quale l’esecuzione del rapporto di agenzia “rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi ovvero di sciogliersi dal medesimo “. 

Una volta intervenuto il fallimento la scelta se proseguire o meno il rapporto di agenzia spetta al curatore fallimentare, pur in presenza, come spesso accade, dell’inadempimento della società preponente (poi fallita) che non adempie, a volte già da diversi mesi, alle proprie obbligazioni (per es. non consegna il campionario, non paga le provvigioni, non consegna i prodotti, ecc.).
L’agente, ancora vincolato alla società fallita, per i sessanta giorni di decisione degli organi della procedura fallimentare (curatore e comitato dei creditori) soltanto “mettere in mora il curatore, facendogli contrattualmente dal giudice delegato un termine non superiore , decorso il quale il contratto si intende sciolto”.
La disposizione dell’esame non è derogabile dalle parti: l’art. 7 comma 6°, LF comporta l’inefficacia del contratto delle clausole negoziali che dipendono dal fallimento della risoluzione del preponente.

In caso di cessazione del rapporto con tali modalità, non potendo equiparare la decisione del curatore di sciogliersi dal contratto (considerata l’impossibilità oggettiva a proseguire l’attività di impresa) ad un recesso volontario della preponente, allo stato la dottrina prevalente ritiene che all’agente non spetti la indennità sostitutiva del mancato preavviso e nemmeno l’indennità suppletiva di clientela; vi è invece una apertura circa il diritto alla liquidazione dell’indennità ex art. 1751 cc con tutta la difficoltà di raggiungere la permanenza in capo alla preponente dei vantaggi derivanti dall’incremento di clientela e di fatturato (possibile, per esempio, nei casi di esercizio provvisorio dell’impresa oppure cessione di un marchio forte e del relativo avviamento) .

Anche dopo la riforma, la legge fallimentare nulla dispone in merito agli effetti del  concordato preventivo  sui “rapporti sufficienti per il preventivo” e quindi nel caso concreto sui rapporti di agenzia. In mancanza di norme al riguardo la dottrina si è orientata nel ritenere che durante la procedura concorsuale i contratti non cessino, salvo che la risoluzione del contratto sia già prevista nel piano predisposto dal preponente.
E’ evidente che in tale ultimo caso è il preponente stesso ad utilizzare liberamente il recesso e pertanto la dottrina ritiene che l’agente abbia diritto tanto alla indennità sostitutiva del mancato preavviso che alla indennità supplementare di clientela (e, a maggior ragione, ricorrendone i presupposti, all’indennità ex art. 1751 cc).
Nel caso in cui il piano concordatario nulla preveda occorre precisare che, fermo restando che il contratto continua ad essere valido ed efficace, la preponente ammessa al concordato può chiedere di essere autorizzato alla sospensione del contratto per non più di 60 giorni prorogabili una sola volta.
Qualora invece il piano del concordato preveda la prosecuzione del rapporto per continuità aziendale ex art. 186 bis, 3° co., LF, le provvigioni maturate prima dell’ammissione della preponente alla procedura concorsuale verranno pagate, in via privilegiata (quelle maturate nell’ultimo anno di attività), nel rispetto dei termini e delle condizioni del concordato, mentre le provvigioni successivamente maturate possono essere soddisfatte in prededuzione, trattandosi di credito sorto in occasione o in funzione della procedura.

Da quanto sopra risulta di importanza significativa che l’agente ponga in essere tempestivamente il recesso (prima della dichiarazione di fallimento o di ammissione al concordato preventivo), allorquando sia in presenza di inadempimenti della preponente da ritenersi “gravi” cioè di notevole entità e tali da far venire meno il rapporto fiduciario.