Agente di commercio sarà Lei!I concessionari auto bocciano il cambiamento voluto dalla UE

Il 53% dei top dealer italiani (oltre 150 milioni di fatturato) boccia l’ipotesi di un futuro da agenti – e non più da concessionari – delle case automobilistiche. Lo rivela un estratto del DealerSTAT, l’indagine annuale di Quintegia rivolta al 60% dei concessionari del Belpaese. Sul piano del fatturato, secondo le stime Quintegia, i 50 principali dealer italiani di auto (il settore ne conta circa 950) rappresentano poco meno del 30% del mercato con una media di 800mila di pezzi nuovi e usati venduti nel 2019 e un fatturato di circa 17 miliardi di euro, in crescita dell’80% nel decennio pre-covid.

Il contratto di agenzia (che modifica elementi quali investimenti, margini e grado di rischio) è uno dei temi centrali; sul tavolo, l’ipotesi di un cambiamento epocale del settore a partire dal 2023, quando per effetto delle nuove regole europee a tutela della concorrenza (nuova Ber), Stellantis ha già annunciato la disdetta di tutti i contratti con concessionari e officine autorizzate, con l’obiettivo di fondare una nuova rete distributiva plurimarca. Un recepimento della normativa da parte del Gruppo Fca e Psa a cui, a detta degli analisti, faranno probabilmente seguito altri brand, in un contesto profonda ristrutturazione della figura del concessionario.

Scettico il presidente di Federauto, Adolfo De Stefani Cosentino, che ha dichiarato: “Il contratto di agenzia svilisce il ruolo di concessionario dei distributori. Federauto non è certo favorevole a questa soluzione, vediamo cosa dirà il regolamento definitivo”.

Diverso, secondo l’indagine, il sentiment dei piccoli dealer, con il fronte del ‘sì’ al 64%, ma con diversi distinguo. Nel complesso, solo il 24% dei rispondenti ritiene infatti che quella di agente possa essere una formula adatta a qualsiasi marchio, mentre il 16% sostiene che il nuovo formato possa essere adottato solo per alcuni marchi rappresentati ed eventualmente per altri da aggiungere. Il 20% lo giudica infine adatto solo per marchi in aggiunta al portafoglio.

Fonte Electomagazine

 

“Caro Ministro, ho perso le elezioni ma non sono contento: ridammi l’Enasarco se no porto via il pallone”

“Caro ministro ti scrivo, così mi distraggo un po’. E siccome sono molto arrabbiato, più forte ti scriverò”. Non sapendo più che fare, i sindacati che hanno perso le elezioni per il rinnovo dei vertici di Enasarco scrivono al ministro Orlando. Ma, probabilmente, scelgono di inviare una lettera aperta nella speranza di ottenere una scrittura in un programma di aspiranti comici. Perché è difficile credere che delle persone adulte siano davvero rimaste ferme agli anni in cui i brocchi che venivano sostituiti nelle squadre di calcio minacciavano di portar via il pallone se non fossero stati rimessi in squadra.

Il problema, per chi ha scritto la letterina al ministro, è che non ha neanche il pallone.

Però il ragionamento alla base della lettera è lo stesso divertente. Perché gli sconfitti non sostengono neanche più di aver vinto. Almeno quello lo hanno capito. Però – spiegano ad Orlando – gli sconfitti non sono contenti (e ci mancherebbe) e, di conseguenza, nella categoria degli agenti di commercio c’è insoddisfazione. Che, inevitabilmente, porta a continue polemiche che impediscono di governare l’ente di previdenza.

Tutto vero. Gli sconfitti, consapevoli di aver perso, non accettano la sconfitta e bloccano (o tentano di bloccare) ogni attività. Dunque chiedono al ministro di intervenire. Ci sarebbe un modo semplice semplice: smetterla con una assurda guerriglia che penalizza la categoria. Troppo semplice, e poi il malcontento degli sconfitti non verrebbe meno. Orlando, per farli felici, dovrebbe invece obbligare i vincitori a cedere la guida dell’Enasarco per restituire il sorriso a chi ora è insoddisfatto. Ovviamente i vincitori spodestati dovrebbero accettare il ribaltone, per il bene della categoria. Non per interessi personali degli sconfitti malcontenti.

Che, a quel punto, non avrebbero più motivi di tristezza e tutto andrebbe a posto. Certo, si ignorerebbero i risultati del voto, ma cosa sarà mai un briciolo di democrazia di fronte al sorriso ritrovato del brocco rimesso a giocare con la fascia di capitano?

Fonte Electomagazine – Autore Enrico Toselli

 

Small brand, segmento premium, cibo fresco: gli italiani comprano on line (+37,5%)

La spesa online di prodotti di largo consumo in Italia è cresciuta del +37,5% nel 2021, dopo un 2020 in cui la spesa online degli italiani in questa categoria aveva raggiunto i 2,9 miliardi di euro (+84% rispetto al 2019).

E’ quanto emerge dagli ultimi dati presentati  dall’Osservatorio Digital FMCG di Netcomm in collaborazione con NielsenIQ.

Secondo l’Osservatorio, non accenna a diminuire il contributo positivo dell’eCommerce all’andamento generale del largo consumo italiano: se la GDO nel canale fisico registra una crescita dello 0,4%, includendo il canale online il trend arriva addirittura al +1%.

Tra le tipologie di beni più venduti online in Italia, spicca il segmento dei prodotti premium, che trova nel canale online un’importanza e un peso decisamente più elevato rispetto al mondo offline. Se nel canale fisico i prodotti con un indice di prezzo maggiore di 150 (ovvero i prodotti con un prezzo medio superiore almeno del 50% rispetto al prezzo medio di categoria) hanno una quota a valore del 23% sul totale, nel mondo eCommerce questa quota arriva addirittura al 34%, diventando così la fascia di prezzo preponderante online.

Tra i prodotti di punta del segmento premium, scelti dagli italiani nei loro acquisti online, spiccano i prodotti biologici, free-from e 100% italiani, che proprio grazie al digitale riescono meglio a far emergere i propri elementi distintivi. Questi prodotti, infatti, registrano una quota molto più alta online rispetto a quella offline, come nel caso più eclatante del biologico che quasi raddoppia la propria quota a valore (3,6% offline vs 6,7% online).

Guardando più nel dettaglio al mondo della marca, gli ultimi dati dell’Osservatorio Digital FMCG raccontano che sono le small brands quelle che stanno beneficiando maggiormente dello sviluppo dell’eCommerce. Infatti, anche se le marche leader e follower continuano a mantenere la loro importanza, i piccoli brand incrementano la loro quota di circa 10 punti, passando da un 20% offline ad un 30% online. Inoltre, analizzando le vendite On e Off dei player della Distribuzione Moderna, si evidenzia come i retailer stiano investendo molto sulla propria marca anche nel mondo digitale, tanto che la quota delle private label passa da un 20,6% nell’offline a un 24,5% nell’online.

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Anticipare il Firr in aiuto degli Agenti

Anticipare una quota del Firr (in pratica il Tfr di altre categorie), anche se non è cessato il rapporto, per aiutare gli agenti di commercio a superare questa fase di emergenza.

La proposta arriva dall’Usarci ed è rivolta a tutte le mandanti, dal commercio all’industria. Perché è evidente che senza un’intesa con le mandanti non sarà possibile procedere su questa strada.

Ma sarebbe curioso un rifiuto da parte di quelle associazioni industriali che hanno appena finito di chiedere soldi pubblici allo Stato come atto di solidarietà.

Dunque solidarietà per tutti, ma anche una sorta di investimento per consentire la sopravvivenza di una categoria che è indispensabile per il rilancio del Paese.

Ovviamente, precisano all’Usarci, l’erogazione dovrà avvenire nei limiti della garanzia del bilancio tecnico.

Insomma, nessuno vuol far saltare i delicati equilibri finanziari di un intero settore. Però una iniezione di liquidità sarebbe particolarmente utile. Purché non si perda troppo tempo in discussioni sterili, in cavilli, in questioni di principio. L’emergenza è qui ed ora ed i correttivi servono ora e qui.

Dunque gli agenti di commercio si attendono una risposta in tempi estremamente brevi. Da tutti i rappresentanti delle mandanti.

E l’Usarci si prepara a presentare un pacchetto di proposte complessive per affrontare e superare la crisi.

Fonte ElecToMag – Autore Enrico Toselli – 10 marzo 2020

Come far sparire centinaia di milioni dalle casse previdenziali…

C’era una volta, nel Ducato di Grand Fenwick, un importante avvocato che si occupava di grandi affari, di grandi società. Conosceva i segreti dei personaggi più famosi del Ducato. Un bel giorno andò a lavorare da lui un giovane avvocato, di modeste qualità ma tanto servizievole, tanto ubbidiente. Tra una pratica ed un’altra preparava il caffè per il Dominus, andava ad aprire la porta, riceveva i clienti.

Così quando Grand Fenwick ebbe bisogno di un nuovo primo ministro, il Duca si rivolse al Dominus perché conosceva tutto e tutti e poteva costringerli ad ubbidire con la minaccia di rivelare i segreti. Ma l’importante avvocato non aveva tempo per occuparsi di guidare un governo. Preferiva manovrare il Ducato restando nell’ombra e controllando tutto. Decise quindi di far nominare primo ministro il suo incompetente giovane di studio. Che, inevitabilmente, commise errori su errori ma che venne sempre difeso dagli organi di informazione del Ducato, tutti controllati dagli amici del Dominus.

Altri amici – è bello essere in tanti a volersi bene – erano intanto impegnati nei ludi cartacei per mantenere il controllo di un ente  che gestiva i soldi degli arcieri del Ducato. Tanti arcieri, tantissimo denaro. Un po’ meno denaro, in realtà, perché gli amici del Dominus ne avevano già fatto sparire in abbondanza. Con operazioni che avevano coinvolto persino il confinante patriarcato di Ponteverdina. Per evitare che qualcuno mettesse il naso nei conti degli arcieri, e cercasse i fondi nascosti in banche di altri Paesi, gli immancabili paradisi fiscali,  era necessario riconfermare gli amici del Dominus alla guida dell’ente.

Dunque il Dominus non lesinò i mezzi per una campagna elettorale ricca, sontuosa, inevitabilmente vincente. Coinvolse i giornali e le radio degli amici, anche le televisioni. E tutti insieme si prepararono al trionfo. Che non ci fu. Perché, inopinatamente, a vincere fu la cordata degli arcieri dissidenti, dubbiosi sulla correttezza dei conti, curiosi di sapere dove fossero finiti i soldi della cassa comune.

Nel frattempo, però, il giovane di studio era stato cacciato dalla guida del governo del Ducato e gli amici del Dominus cominciarono a preoccuparsi. Senza neppure la protezione del governo, senza più il controllo degli arcieri, si rischiava di far scoprire i conti all’estero dove erano stati nascosti i fondi della categoria. Che fare, allora? Per fortuna del Dominus ci sarà anche un giudice a Berlino, ma Berlino è lontana e nel Ducato ci sono invece molti giudici amici. Dunque possono intervenire per bloccare ogni attività del nuovo responsabile degli arcieri, in modo da impedire di arrivare ai conti segreti.

Come finisce la storia? Nel film “Il ruggito del topo”, il Ducato di Grand Fenwick dichiara guerra agli Stati Uniti, attaccandoli con archi e lance con la speranza di venire sconfitti. E finendo, invece, per vincere la guerra. Perché, ovviamente, si tratta di un remake o di un sequel del film del 1959 con Peter Sellers. Ed il finale a sorpresa è sempre possibile..

Fonte ElectoMagazine – autore Augusto Grandi


Covid -19 Provvedimento del Governo

Sulla G.U. del 2 marzo 2020 – art.16 è stata pubblicata la decisione del Governo, tra i vari provvedimenti sospensivi per versamenti e adempimenti vari, di prevedere una indennità di € 500 – per un massimo tre mesi – per gli agenti di commercio domiciliati o che svolgono la propria attività nei comuni che rientrano nelle “zone rosse” e parametrata all’effettivo periodo di sospensione dell’attività.

Tale provvedimento necessita comunque di apposito decreto regionale, ad oggi non si conoscono le modalità e i parametri per richiedere il contributo, che forniremo non appena disponibili.

L’USARCI rileva che i provvedimenti varati dal Governo, ed in studio anche dall’Enasarco, non siano sufficienti e debbano essere estesi a tutta la Categoria a prescindere dalla regione dell’agente.

Il momento negativo segnala già gravissime ripercussioni su tutto il territorio, non è confinato solo alle “zone rosse”!

Clicca qui per il comunicato del Governo

Enasarco nella bufera, Sangalli e Bonomi scrivono al ministero del Lavoro

Un groviglio come è raro vederne anche in Italia. Colpi di scena, rovesciamenti di maggioranze, ribaltoni, esposti e faide a suon di denunce e carte bollate. Il fondo pensione Enasarco, che gestisce la previdenza degli agenti di commercio e amministra circa 10 miliardi di asset, è sempre più nella bufera. Tanto che il 9 febbraio, come risulta a Tag43, Carlo Sangalli e Carlo Bonomi, rispettivamente presidenti di Confcommercio e Confindustria, hanno preso carta e penna e chiesto al ministro del Lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando di prendere provvedimenti per evitare che uno dei più grandi fondi pensione del Paese si trovi a brevissimo nella condizione di non poter più erogare le sue prestazioni.

Enasarco senza pace

Storia lunga e intricata, quella Enasarco, un ente che da troppo tempo appare senza pace. Dopo l’elezione nel gennaio 2021 del consiglio guidato da Antonello Marzolla, espressione della lista di Confindustria e Confcommercio, la fazione avversa perdente alle elezioni, si era rivolta alla magistratura denunciando irregolarità nel voto dell’assemblea. L’appiglio era il voto “mal contato” di un delegato, Romualdo Nesta, che lamentava un difetto di connessione telematica nel momento in cui era stato invitato a esprimere la sua preferenza. A seguito dell’esposto la XVI sezione del tribunale di Roma, presieduta da Giuseppe Di Salvo, sospendeva una prima volta la proclamazione del cda di Enasarco appena insediato. Poi però la decisione del magistrato venne neutralizzata dall’indicazione del ministero del Lavoro, cui compete la vigilanza sull’ente pensionistico, di attribuire i consiglieri in proporzione ai voti raccolti dalle liste, che – questo è l’unico punto che accomunava tutti i contendenti – seguono meccanismi statutari desueti e poco chiari.

La litigiosità delle componenti del fondo e le denunce

Guerra finita dunque? Nemmeno per sogno. Reinsediato un cda presieduto da Marzolla, ma con una diversa compagine rispetto al precedente, la componente Confesercenti, patrocinata dagli avvocati Guido Alpa e Andrea Zoppini, impugnava nuovamente la nomina. E questa volta sulla base di una diversa interpretazione dello statuto che avrebbe richiesto di ponderare i voti in modo tale da comportare l’ennesimo capovolgimento di fronte. Ecco che allora sempre la XVI sanzione del Tribunale presieduta da De Salvo e con giudice Maurizio Manzi per la seconda volta sospendeva in via cautelare l’insediamento del cda a guida Marzolla. Con ciò rimettendo alla commissione elettorale di formarne uno nuovo, invitando le parti a trovare una soluzione condivisa. Auspicio vano, considerando il tasso di litigiosità tra le componenti e le denunce penali presentate da Enasarco nei confronti del presidente in pectore della lista Confesercenti, Alfonsino Mei, e della incompatibilità degli elettorati. A questo punto il giudice Manzi ordinava alla commissione elettorale di nominare i consiglieri esprimendo direttamente i nomi, con una decisione raramente vista in sede cautelare e che dimostra una grande motivazione da parte della sezione a risolvere d’imperio la situazione. Così che alla commissione elettorale non restava che obbedire. Dietrofront, e via all’insediamento di un nuovo cda presieduto da Mei. Il quale, come primo atto, revocava l’incarico al direttore generale Carlo Bravi e i mandati agli avvocati Michele Briamonte e Andrea Di Porto che assistevano Enasarco nei contenziosi.

Sangalli e Bonomi invitano il ministero del Lavoro a intervenire

Sin qui la telenovela, che pare tutt’altro che conclusa e promette nuove puntate di una trama complicata dove si intrecciano sezioni di tribunale, procure, studi legali blasonati e uffici ministeriali. E che ha determinato la lettera a Orlando firmata da Bonomi e Sangalli che, preoccupati dalla paralisi in cui è precipitata Enasarco, invitano il ministro a prendere le opportune decisioni. Ma che è anche un mettere le mani avanti in vista di un prevedibile ulteriore deterioramento della vicenda. «È di tutta evidenza che la situazione di stallo determinatasi nella governance dell’Ente non appare adeguata a garantire la corretta gestione del patrimonio della Fondazione», scrivono i due presidenti. «La compromissione del patrimonio di Enasarco temiamo possa determinare un aggravio di oneri a carico delle case mandanti o costi a carico della fiscalità generale di cui Confindustria e Confcommercio non potranno essere ritenute in alcun modo responsabili».

Fonte TAG43 – Autore Luca Di Carmine